Fausto Bertinotti - Finisce una storia. Ne comincia un'altra?  (breve sintesi)

alternative per il socialismo n. 25 - marzo - aprile 2013
 


 


 

Con questo numero monografico intendiamo porre all’attenzione della sinistra che vorremmo un tema decisivo per la sua stessa esistenza: quello del sindacato. Sembra paradossale eppure è così, a tutt’oggi non c’è un dibattito pubblico impegnato su un problema così centrale per la democrazia moderna. Vorremmo contribuire a colmare il vuoto sollecitando l’apertura di una discussione e di una ricerca. (…)

La nostra tesi è che siamo alla coda della storia del movimento sindacale organizzato, almeno per come l’abbiamo conosciuto in Italia. Siamo di fronte al rischio di una sua fine o di una sopravvivenza delle sue organizzazioni in un contesto che però ne modifica radicalmente il senso. Cioè siamo di fronte a un processo che può condurre a un sindacato che non sia più espressione del punto di vista e delle esigenze proprie dei lavoratori. Nella specifica esperienza italiana, quella che ha dato forma al sindacato confederale attraverso il contratto nazionale e la contrattazione articolata, proprio questi rischiano di scomparire, sopraffatti dal primato del mercato e dell’impresa. Il sindacato diventerebbe, allora, parte della macchina votata all’organizzazione del consenso all’interno delle imposizioni che provengono dalla governance dell’impresa e da quella tecnocratica. Una governance formalmente condivisa con lo stesso sindacato ma in realtà egemonizzata da quello che chiamiamo il pensiero unico, pensiero che esclude la possibilità di reali alternative: la legge di Tina, «there is not alternative». (…)

Uno degli elementi forti della ideologia dominante è stato infatti quello di indurre a considerare il conflitto come un dato patologico, indice di una cattiva politica e apportatore solo di cattive conseguenze. La lettura dei dati italiani messa a confronto con l’andamento delle conquiste dei lavoratori ci dice invece, con la forza indiscutibile delle serie storiche, che i picchi conflittuali hanno accompagnato le fasi di effettivo miglioramento nelle condizioni di lavoro e di vita delle lavoratrici e dei lavoratori. Le conquiste sociali si sono sostanziate, in quelle fasi, sia in termini di condizioni materiali, di salario, di organizzazione del lavoro, ma anche di diritti, di democrazia e di creazione di Welfare. Su di esse si è formata una specifica e forte coscienza di classe. I conflitti sociali hanno influito potentemente in quelle che sono state le epoche di trasformazione decisive del Paese, anche in relazione a dinamiche più complesse e globali. (…)

Ma questa tesi è solo il frutto della gigantesca vittoria di una ideologia su tutte le altre, l’ideologia del mercato. Questa epoca nostra è certo quella di una trasformazione di portata gigantesca e planetaria, è quella della globalizzazione economica, della frammentazione del soggetto lavorativo, della centralizzazione senza concentrazione, del dominio della finanza e delle tecnostrutture. Ma tutti i passaggi di epoca hanno conosciuto cambiamenti radicali delle condizioni oggettive e delle culture egemoni anche tra i lavoratori. La contesa vede così cambiare i termini stessi su cui essa si fonda. Ma il suo esito non è obbligato. In questo caso si è verificato un rovesciamento della lotta di classe, che ora è agita dall’impresa e dal mercato contro i lavoratori, e in esso si è prodotta la loro vittoria ideologica. (…)