Gianni Alasia - 1972-1974, le 150 ore a Torino. Una tappa della
lotta per le riforme |
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Per correttezza e per meglio comprendere le mie considerazioni e i loro limiti, debbo premettere che io seguivo con impegno i problemi della scuola ma come segretario della Camera confederale del lavoro di Torino e non di un sindacato di categoria. Oggi, a tanti anni di distanza, alcuni aspetti possono sfuggirmi anche per questa ragione. La rivendicazione delle 150 ore di lavoro annuali viene sostenuta dal sindacato metalmeccanici nel 1972 nelle rivendicazioni per il contratto. Si puntava a una crescita culturale del lavoratore, anche con scelte personali non necessariamente legate alla professione. Tale concezione qualcuno la sintetizzò così: “Ho il diritto di imparare a suonare il clavicembalo” (mi pare l’avesse detto Bruno Trentin). Il contratto nazionale dei metalmeccanici che è firmato il 19 aprile 1973 sancisce le 150 ore (art. 28: “al fine di migliorare la propria cultura”),mentre viene precisato che sono utilizzabili per “aggiornamenti culturali”. Non sono dunque legate alla professionalità di azienda ma alla cultura generale del lavoratore. Va ricordato subito che la rivendicazione nacque nella cosiddetta stagione delle lotte per le “riforme”, cioè di lotte che partendo dai problemi della fabbrica e del posto di lavoro investivano la condizione esterna dei lavoratori, le sue condizioni di vita, di sussistenza, di riproduzione storica della forza lavoro. Non c’è però in questo alcuna scissione tra fabbrica ed esterno. Anzi vi era una visione unitaria della condizione del lavoratore quale in effetti il lavoratore la vide: il tempo di lavoro è anche tempo di trasporto, “trasbordi” da un mezzo all’altro, pendolarità, disagio e costi che si aggiungono al disagio di fabbrica; la salute e la non delega in fabbrica sulle condizioni di sicurezza, la “validazione operaia” sulle condizioni di rischio e di nocività, è anche condizione esterna: le strutture preposte alla sanità, il loro ruolo nella prevenzione. Non casualmente in quegli anni si sviluppano a livello territoriale le camere del lavoro comunali (ma poche) sul territorio non come mera propaggine della camera confederale provinciale quale si era ridotta negli anni ma come sede di applicazione sui particolari problemi in zona.
Un’azione su più fronti Va inoltre rilevato che 150 ore si inserivano in un contesto più ampio del ruolo del sindacato, per esempio il problema del “tempo pieno” nella scuola, anch’esso oggetto di non facile conquista e di contraddizioni: ricordo le famiglie di immigrati con turni di lavoro diversi fra i coniugi che usavano la brutta espressione (ma da capire data la loro condizione) “portiamo a parcheggiare i bambini”. C’era il rischio che una rivendicazione di qualità scadesse nel vecchio dopo-scuola. Nel 1974 la Einaudi pubblicava gli atti del nostro convegno sul tempo pieno. Nella relazione introduttiva che svolsi richiamavo l’esigenza di tener conto “in modo realistico delle iniziative che stiamo promuovendo per i doppi turni, per l’edilizia scolastica, per l’utilizzo delle 150 ore conquistate dai metalmeccanici e ora anche dai tessili, per la gratuità dei libri, per la medicina scolastica… Oggi i figli frequentano una scuola che funziona male per 4 ore al giorno e per sette mesi all’anno con i doppi turni… si tenga presente che molte delle esperienze di tempo pieno che sono state realizzate sino ad oggi alle medie sono partite dall’eliminazione degli esami di riparazione e dalla loro sostituzione con i corsi di recupero e di apprendimento… il tempo pieno alle elementari è già stato nel 1969/1970 un momento di lotta che ha visto impegnati gli operai di alcuni quartieri e maestri più avanzati sul piano politico e su quello didattico...”. Specie quelli del movimento di cooperazione educativa che in collegamento con la Camera del lavoro di Torino realizzarono a Barcellona con gli spagnoli del centro “Rosa Sensat” (ancora in regime franchista) nel luglio del 1975 gli incontri all’Escola D’estiu: alla loro partenza per l’Italia (forse per la prima volta in quarant’anni si intonò un grande coro dell’Internazionale). I sindacati scuola confederali in un loro documento del 19 ottobre 1974 danno un primo quadro della situazione: sono quindici le categorie che contrattualmente hanno ottenuto le 150 ore. In Piemonte sono stati avviati 173 corsi, di cui 148 a Torino, ove è significativo come presso le facoltà di Giurisprudenza, Architettura, Psicologia del lavoro, Politecnico interessassero 109 lavoratori e 45 studenti per una durata di 120 ore di corso. Significative fra le facoltà quella di medicina che nel 1973 aveva tenuto un corso su “medicina ambientale e istituzioni”. A marzo 1974 si avviava un corso per gli insegnanti delle 150 ore (unitario Cgil-Cisl-Uil). Per la Cgil, dissi in quella occasione: «Noi respingiamo la visione di una scuola come corpo a sé stante, come la si vuol far apparire, come sede neutra… Le 150 ore dobbiamo gestirle non restando fermi alla scuola tradizionale, in questi anni c’è stata una la denuncia ricorrente della natura classista della scuola… Delle scissioni operate dai meccanismi capitalistici fra cultura e produzione, studio e lavoro, lavoro manuale e intellettuale… il capitalismo nega la trasformazione della scuola». Una grande organizzazione industriale del nord scriveva: «Abbiamo bisogno di operai che sappiano soprattutto lavorare con le mani». I sindacati almeno localmente (non so dire in altre regioni) avanzarono al ministero del lavoro la richiesta di una legge quadro per regolamentare l’educazione degli adulti nella scuola statale. Scriveva la nostra Camera del lavoro nel luglio 1974 su questa rivendicazione: «Ministro e padroni sanno che l’uso del diritto allo studio da parte dei lavoratori va contro i loro interessi perché intacca l’autoritarismo nella scuola e nella fabbrica». Ma via via la trasformazione delle 150 ore stava diventando alfabetizzazione per chi era stato espulso dalla scuola dell’obbligo, per casalinghe prive di studio, per immigrati privi di conoscenze linguistiche. Tutto ciò cambiava la natura iniziale di questa conquista.
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