Riccardo Petrella - La grande mutazione in agenda: (ri)fare comunità

alternative per il socialismo n. 19 - dicembre 2011-gennaio 2012

 

La tesi

Cercherò in questo saggio di analizzare le ragioni e le conseguenze dei processi che negli ultimi quaranta anni hanno portato le nostre società europee e occidentali(zzate) a demolire i principi di sacralità della vita e del vivere insieme e, quindi, la comunità, il fare società. Ciò, in nome dei principi di mercificazioone e di privatizzazione di ogni forma vita, naturale e umana, individuale e collettiva. Prenderò l’acqua e la povertà come esempi paradigmatici della demolizione. L’acqua e la povertà sazranno altresì prese come esempi privilegiati dei campi prioritari in cui lavorare per promuovere quei processi di ricostruzione di comunità e del (ri)fare società.

 

La demolizione

Come in ogni grande evoluzione storica di società, i processi di demolizione hanno avuto luogo in tanti campi, a partire da svariati postulati, principi e credenze, attraverso modalità e mezzi di diversa natura. Sono di natura sistemica. Come tali devono essere captati, descritti e analizzati. Lo stesso vale per la valutazione delle loro conseguenze (sezione successiva) e delle strategie di ricostruzione (terza e ultima sezione).

Si può, tuttavia, per far breve e sintetizzare, affermare che il punto di rottura, che ha dato visibilità, visibilità, e apparente legittimità, ai processi di demolizione é avvenuto attorno al 1992 per quanto riguarda l’acqua e, attorno al 1995, per quanto riguarda la povertà.

E’ nel 1992, che per la prima volta, i poteri forti economici e politici dei Paesi del “Nord” hanno affermato e fatto ammettere dalla comunità internazionale che l’acqua doveva essere considerata essenzialmente come un “bene economico” (secondo i principi dell’economia capitalista di mercato). Si é trattato del quarto principio contenuto nella dichiarazione finale della Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua del 1992 a Dublino, in preparazione del Primo Vertice Mondiale su Sviluppo e ambiente a Rio de Janeiro, lo stesso anno.

 

L’acqua bene economico

Su questa base, la Banca Mondiale - che é stata uno dei poteri ispiratori e promotori di questo cambiamento - ha elaborato e imposto nel mondo, a partire dal 1993, il modello che doveva, a suo parere, permettere di gestire in maniera ottimale le risorse idriche del Pianeta in quanto, per l’appunto, bene economico”. Mi riferisco alla «Gestione Integrata delle Risorse d’Acqua»(1) di cui il postulato fondatore é che lo strumento necessario e indispensabile per realizzare una gestione ottimale della risorsa acqua é la fissazione di un prezzo all’acqua sulla base del principio del recupero dei costi totali (full cost recovery principle), ivi compresa la remunerazione del capitale investito (profitto). Le concezioni alla base della Gira/Iwrm sono diventate le linee guida della politica dell’acqua della maggiore parte dei governi dei cinque continenti. Numerosi sindacati del Nord non si sono opposti. Il mondo accademico e scientifico, in generale, si é allineato. Così, il full cost recovery principle é stato adottato da tutte le agenzie specializzate del’Onu che lavorano nel campo dell’acqua e costituisce la spina dorsale della Direttiva Quadro Europea sull’Acqua del 2000. Secondo i suo autori, le tesi della Gira hanno ispirato la prima grande legge sull’acqua in Italia (la legge Galli del 1994).

 

L’assunto della rarefazione dell’acqua

L’elemento chiave che nella prospettiva dei gruppi dominanti ha contribuito a rendere la rottura credibile e giustificata - allorché non lo é - é stata la crescente rarefazione dell’acqua di qualità buona per usi umani. Questi gruppi hanno fatto credere che i fenomeni di rarefazione fossero inevitabili in quanto dovuti, secondo loro, ai bisogni d’acqua crescenti legati all’aumento della popolazione mondiale e allo sviluppo economico.

In realtà la rarefazione qualitativa dell’acqua é dovuta principalmente ai cattivi usi che si é fattto e si continua a fare dell’acqua (prelievi non rispettosi del tasso naturale di rinnovo dei corpi idrici, forme massiccie di contaminazione e di inquinamento su vasta scala, assenza/debolezza di regole relative a una gestione condivisa e solidale delle acque, in particlare transnazionali).

Manipolando i fatti, i gruppi dominanti hanno imposto l’idea che la crisi mondiale dell’acqua sia diventata essenzialmente una crisi di scarsezza d’acqua; che la rarità resterà ed é destinata verosimilmente ad aumentare nel futuro a causa del cambio climatico e che, per conseguenza, la gestione dell’acqua deve diventare la gestione efficace di una risorsa economica rara, sempre di più importante strategicamente per la sicurezza economica di un Paese.

Questa tesi non é l’appannaggio esclusivo delle grandi imprese multinazionali private dell’acqua. Essa é condivisa dalle più importanti organizzazioni internazionali pubbliche (2). E’ chiaramente il supporto centrale della politica dell’acqua della Commissione europea delineatasi nell’ultimo decennio(3).

In voga presso le classi dirigenti da più di 20 anni, le scelte ideologiche in favore dell’acqua bene economico, della gestione centrata sul prezzo di mercato dell’acqua e della rarità dell’acqua quale elemento chiave del futuro della vita sul Pianeta, hanno contribuito alla nascita e alla diffusione di altre tesi teologiche sull’acqua che hanno avuto un crescente potere d’influenza sull’opinione pubblica. Penso in particolare a tre tesi (che meritano di essere combattute con forza e perseveranza).

 

La monetizzazione dell’acqua

La prima tesi poggia sulla necessità di attribuire un valore ecocomico all’acqua. Valuing water rappresenta una prescizione con un potenziale di rottura ideologica (politica, culturale, sociale e umana) fra i più elevati per l’avvenire delle società umane e la vita sul Pianeta. Definire e misurare il valore dell’acqua (in termini monetari) é il cavallo di battaglia di tutti coloro che pensano l’acqua e la sua gestione in termini di bene economico(4). Essi dicono che, in assenza di una monetizzazione dell’acqua, i capitali privati non saranno mai abbastanza interessati a investire le ingenti somme di denaro (parecchie decine di migliaia di miliardi di euro nei prossimi trenta anni) (5) che saranno necessari per lottare contro la rarità e gli effetti del cambiamento climatico.

In realtà, Valuing water significa soprattutto accettare il principio e il fatto che la reddività finanziaria sui mercati mondiali dei beni e dei servizi relativi alle attività idriche stabilirà il valore dell’acqua. Quest’ultimo varierà nel tempo e nello spazio in funzione del contributo apportato dalle imprese dell’acqua alla creazione di valore per i detentori/proprietari del capitale investito.

Esempio concreto: già oggi il valore dell’acqua in Italia nelle regioni servite da Acea, la multiutility di Roma, é determinato dal rendimento di Acea per i suoi azionisti fra i quali figura, oltre il Comune di Roma e Caltagirone, la multinazionale francese Suez. Se un giorno Suez giudicasse che la sua partecipazione azionaria in Acea non gli porta quanto desiderato e necessario per cui abbandonerebbe Acea, il valore economico delle azioni di Acea in Borsa preciterebbe rapidamente, con conseguenti perdite anche per il Comune di Roma. Inoltre, a breve e medio termine, si assisterebbe a un rialzo delle tariffe applicate da Acea.

L’interesse per il valuing water si spiega per il fatto che, se la gestione ottimale passa dal prezzo dell’acqua, é indispensabile per gli operatori privati di poter applicare il calcolo della catena del valore al ciclo economico globale dell’acqua - non solo a quello piccolo (potabilizzazione, distribuzione, trattamento e reciclaggio delle acque usate - e quindi a ciascuna funzione del ciclo. In un’ economia capitalista, ciò consente agli investitori e ai gestori di misurare il contributo di ogni funzione alla creazione di valore per il capitale e di decidere se, quando e su quali basi é preferibile di segmentare/specializzare la gestione delle diverse funzioni, una tendenza oggi assai frequente.

Il che non significa optare per la dispersione delle imprese. Al contrario, la segmentazione/specializzazione non impedisce l’integrazione delle funzioni nel quadro di grandi gruppi industriali e finanziari multi-utilities. Emblematico al riguardo é il caso dei grandi gruppi francesi Veolia e Suez rispettivamente n° 1 e 2 mondiali nel settore dell’acqua. Per loro, l’acqua é uno dei settori di attività. I trasporti, i rifiuti, l’energia, sono altrettanto importanti. Però l’organizzazione del loro settore idrico prevede una molteplicità di imprese distinte attive nei vari campi dell’acqua (protezione dell’ambiente, captazione e potabilizzazione, distribuzione dell’acqua potabile, trattamento delle acque reflue e loro reciclaggio, dissalinizzazione, servizi technologici, gestione informatizzata dei servizi, gestione delle perdite…).

La seconda tesi, mistificatrice quanto la prima, ne é la conseguenza: le imprese private posseggono le competenze e le tecnologie, hanno il denaro. Tocca ai poteri pubblici (lo Stato, le regioni, i comuni) di valorizzare e dare libera azione alle imprese private con delle misure legislative, amministrative e finanziarie appropriate. E ciò nell’ambito di un Partenariato Pubblico Privato e della governance multi-attori (multistakeholders). In breve, uno Stato “forte” convinto del suo ruolo principale di facilitatore dell’iniziativa privata al servizio della libertà dei consumatori e degli investitori. Secondo questo postulato, la Gira ottimale non può essere assicurata che dalle imprese private in un sistema di “liberi” mercati dell’acqua, dal livello locale al livello mondiale. Inoltre, più grandi e organizzate su vasta scala sono le imprese, più efficiente, efficace ed economica sarà la gestione dell’acqua.

La cultura pro-business, anti-Stato, oligarchica e anti-sociale non é mai stata così esplicita e brutale. E visto che a questa cultura si sono abbrevate nei paesi del Nord la quasi totalità delle classi dirigenti, anche quelle dette progressiste, mai come ora l’abdicazione e la sottomissione dei poteri pubblici agli interessi dei gruppi privati sono state così profonde e legittimate dal sostegno popolare via le istituzioni della democrazia rappresentativa.

Benché possa sembrare impossibile, l’idea che lo Stato e le collettivita locali non posseggano più le risorse finanziare per far fronte ai loro bisogni in investimenti nelle infrastrutture, nei beni e nei servizi indispensabili per il diritto alla vita di ogni essere umano e al vivere insieme, é oggi condivisa e praticata dalla grande maggioranza delle classi politiche dirigenti. Le istituzioni pubbliche non fanno altro che indebitarsi nei confronti dei capitali privati nazionali e internazionali, crescendo così la dipendenza del divenire della società dagli interessi e dall’arricchimento dei gruppi privati(6).

La terza tesi é la più avanguardista e, in questo senso, la più carica di incognite e di pericoli. Essa suona così: l’acqua tecnologica, salvatrice dell’umanità.

Per rispondere al sedicente imperativo di aumentare l’offerta di acqua buona per usi umani, i gruppi dominanti contano su tre soluzioni tecnologiche destinate, a loro parere, a garantire in maniera perenne la sicurezza e lo sviluppo economico: a) maggiore produttività dell’acqua, cioé produrre più beni e servizi e continuare a creare sempre di più valore per il capitale, con meno acqua. Applicata all’agricoltura, per esempio, questa prescrizione si traduce con more crops per water drop. Grazie alla tecnologia si avrà, dicono, meno bisogno di acqua piovana o prelevata per irrigare i campi; b) il trattamento generalizzato delle acque reflue e loro reciclaggio/riuso per usi domestici, agricoli, industriali, terziari vari. Dal 2010, gli abitanti di Singapore sono forniti di acqua potabile derivata unicamente da acqua riciclata (scarichi domestici inclusi). Sempre più numerose sono le città che intendono assicurare il loro approviggionamento idrico, anche parziale, tramite il trattamento/riciclaggio; c) last but non least, la dissalinizzazione dell’acqua del mare. Dopo la crisi di penuria, Barcellona si é dotata nel 2009 del più grande impianto di dissalinizzazione d’Europa. Israele, la maggior parte degli Stati della penisola arabica, così come la Spagna e gli Stati Uniti sono i principali produttori e utilizzatori di acqua dissalata al mondo. La Cina ha aperto recentemente quattro impianti di dissalinizzazione per delle città di più di 250mila abitanti e sembra che abbia optato per un vasto programma di dissalinizzazione per i prossimi decenni al fine di servire decine di milioni dei suoi abitanti.

Nessuno potrebbe adombrarsi per questi sviluppi. In sé sono da incoraggiare, specie se rispettano le condizioni sociali e ambientali dette di sostenibilità globale. Le perplessità e gli interrogativi sorgono e sono giustificati dal fatto che la tendenza imposta negli ultimi anni é quella di sottomettere detti sviluppi all’egida e al potere dei capitali privati, delle imprese private, ai conflitti di cupidità e di potenza dei mercanti degli averi finanziari (definiti, nel gergo dei dominanti, le logiche dei mercati finanziari).

 

I risultati di questa prima demolizione

In questo contesto, l’acqua delle nostre società é diventata, anche nell’immaginario collettivo, un prodotto industriale come il petrolio, una merce come il caffé, un prodotto finanziario come l’investimento nell’industria dell’automobile. La petrolizzzazione dell’acqua e la sua cocacolizzazione (per quanto riguarda l’acqua minerale in bottiglia) fanno parte dell’idea che noi tutti ci facciamo dell’acqua(7).

L’acqua non é più vista e trattata come un dono della vita, une bene sacro perché sacra é la vita. Per la stragrande maggioranza dei bambini dei nostri paesi, l’acqua viene dal rubinetto! Gli adulti stessi non credono più che l’acqua sia un bene naturale universale, un esempio della gratuità della vita, un bene comune accessibile e appartenente all’umanità e a tutte le specie viventi, un diritto umano. Solo nel luglio 2010, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione con la quale ha riconosciuto che l’accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari é un diritto umano. Ciò avvenuto però con il voto contrario di tutti i paesi del Nord, salvo 11 Stati sui 27 dell’Unione Europea. Inoltre, anche negli Stati che hanno votato in favore del diritto umano all’acqua, le classi dirigenti hanno applicato da anni il principio che il diritto all’acqua si paga (secondo il postulato chi consuma paga).

L’acqua dissalata nel quadro di una logica mercantile, industriale e finanziaria privata non farà che accentuare il fenomeno. L’acqua tecnologica sarà un bene che, certo, resterà essenziale e insostituibile per la vita, ma che sarà made by Veolia Water, o American Water, o Blue Tecnology. Non sarà più un dono del Cielo (come credono i mussulmani e i cristiani), né un dono di Pachamama (come pensano i popoli amerindiani), ma il prodotto commerciale di Suez, Hera, Newater, Agua de Barcelona, perfino di Coca-Cola, Pepsi-Cola e Nestlé (produttori della sedicente purified water commercializzata con i marchi Dasani, Aquafina e Pure Life).

Ogni acqua sarà merce, venduta e comprata come il petrolio o il televisore. I mercati dell’acqua sono già parte integrante dei nostri modi di vita. Nel febbraio scorso (2011), il Commissario euroepo responsabile della politica regionale ha affermato che non vedeva alcun inconveniente nel fatto che una società fiamminga esportasse verso il Qatar, con il sostegno del governo della Regione Fiandra, acqua dolce in cambio dell’importazione di gas naturale. Ogni acqua avrà un prezzo di mercato e dovrà creare valore per i capitali investiti.

Nel mondo della finanza l’acqua é definita “The Ultimate Commodity” l’ultima merce, la merce finale, nello stesso senso di quando si dice “l’ultima sponda”, la sponda finale del processo di mercificazione della vita e del Pianeta Terra (8). Una merce che genera profitti elevati. Secondo il “libro bianco” H²0pportunity - redatto dal anche The Calvert Global Water Fund, un fondo d’investimento internazionale Usa attivo nel settore degli investimenti speculativi - “dal 2004, su base cumulativa, i rendimenti degli investimenti mondiali nell’acqua sono stati più elevati degli indici medi di rendimento Usa e mondiali”(9). L’oro blu per l’appunto: un business formidabile, una notevole opportunità di profitto nel contesto della nuova (supposta e sperata) crescita economica mondiale che sarebbe alimentata, secondo i pontefici attuali dell’economia capitalista mondiale, dalla nuova “economia verde” sotto l’egida del nuovo green capitalism. Il “capitalismo verde” sarebbe, sempre secondo detti pontefici di cui numerosi sono i “servitori” cresciuti di recente in tante università italiane, la testimonianza evidente della perenne capacità di rinnovamento del sistema capitalista.

Di fronte a questa realtà, si può misurare l’indecenza intellettuale e la mistificazione ideologica contenute nell’affermazione del presidente della Federazione professionale delle imprese d’acqua di Francia (Fp2E) secondo il quale il dibattito sul modo di gestione pubblico e privato é un falso dibattito (…) La collettività organizzatrice ha un ruolo di autorità e di governance (…) Ciò che conta per il cittadino utilizzatore dell’acqua é la qualità del servizio, il prezzo e la trasparenza(10). Secondo lui, i cittadini non sono interessati ai  diritti, a partecipare alle decisioni della collettività, alla giustizia, alla solidarietà, alla condivisione…!

 

Il Blueprint for Europe’s Waters

Un esempio notevole degli effetti negativi prodotti dalla demolizione sulla visione della vita, del vivere insieme e del fare comunità é costituito dalla politica dell’acqua sviluppata negli ultimi anni ad opera dell’Unione Europea. La Commissione europea renderà pubblico nel novembre 2012 il Blueprint for Europe’s Waters, una sorta di “Libro Bianco” europeo, destinato, per l’appunto a ri-definire le grandi linee e gli obiettivi prioritari della nuova (o consolidata) politica europea dell’acqua per il periodo 2016-2030 centrata sulla salvaguardia delle risorse idriche europee(11).

Secondo i documenti ufficiali della Commissione europea al 2011, il Blueprint mira a strutturare la politica europea dell’acqua attorno a sette finalità:

a) il potenziamento delle misure relative allo sviluppo delle infrastrutture “sostenibili” nel settore della gestione del territorio, in particolare le misure destinate a promuovere un sistema coerente a livello europeo di pagamento dei servizi ecosistemici;

b) promuovere un metodo comune per l’internazionalizzazione dei costi dell’uso dell’acqua e dell’inquinamento delle acque (secondo I principi generali “chi consuma paga” e “chi inquina paga”) in ottemperanza al principio più specifico del recupero dei costi totali dell’uso sostenibile delle acque. Tra gli strumenti da mettere in opera a tal fine, la Commissione menziona: l’adozione di criteri per dare un prezzo all’acqua, la fiscalità, l”eliminazione di dannosi sussidi, i mercati pubblici (e le licenze vendibili);

c) aumentare e migliorare l’efficienza per ottimizzare l’incontro tra domanda e offerta delle acque a livello dei 110 distretti /bacini idrografici dell’Ue. Inoltre ridurre le perdite nelle infrastrutture di produzione e di distribuzione delle acque;

d) identificare ed eliminare le principali barriere finanziarie, tecnologiche, organizzative e sociologiche all’innovazione nel campo della gestione delle risorse idriche;

e) modalità di miglioramento del sistema di governance anche al fine di rinforzare la capacità di far fronte al cambio climatico;

f) espandere la qualità del capitale di conoscenza per la definizione e l’implementazione della politica dell’acqua;

g) infine, dare importanza agli aspetti globali della politica dell’acqua e rinforzare la capacità dell’Ue di contribuire alla realizzazione degli Obiettivi del Millennio per lo Sviluppo nel campo dell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari.

Come si vede, i principi fondatori assunti dalla Commissione europea a base del suo Blueprint sono chiaramente l’economicità della risorsa, la scarsità crescente, la qualità, la vulnerabilità, per cui la politica europea dell’acqua, nella concezione della Commissione europea, si traduce essenzialmente, in un problema di gestione ottimale di una risorsa naturale considerata rara e vulnerabile. Secondo i documenti della Commissione, la buona equazione per una gestione ottimale si ottiene attraverso l’allocazione appropriata di capitali finanziari per lo sviluppo e il miglioramento di infrastrutture, prodotti e servizi la cui disponibilità e accessibilità é regolata da prezzi-verità di mercato. Il perno della politica europea dell’acqua é costituito dalla monetizzazione dell’acqua.

 

L’acqua non scappa al nuovo vangelo

Siamo di fronte a una concezione produttivista/economicista dell’acqua ridotta ancor più che nel passato ad una questione di gestione efficace della risorsa idrica. In effetti, in seno all’Ue, v’é sempre di più la tendenza a ridurre ogni problema a una questione di gestione efficace delle risorse (dove anche le persone sono considerate risorse umane). La strategia della Ressource efficiency é diventata il nuovo vangelo della Commissione europea dopo quello degli anni ’90 centrato sulla competitività(12). L’acqua non scappa al nuovo vangelo. Il mondo dell’acqua non appartiene più, principalmente, al campo dell’economia pubblica dell’interesse collettivo, dell’economia dei beni comuni e dell’economia dei diritti umani e sociali, ma a quello degli interessi privati dei consumatori e degli investitori ad avere una risorsa in quantità, qualità e sicurezza sufficiente per soddisfare al meglio le loro utilità. E’ sorprendente - e fa pena - constatare che, in nome dell’efficienza, le autorità dell’Ue abbiano introdotto, per elaborare il Blueprint, il concetto di fitness e di fitness check.

Il Fitness Check é uno strumento che la Commissione si é dato, sotto pressione degi Stati più influenti, per misurare l’intero assetto delle misure esistenti (legislative e non) al fine di identificare i vincoli eccessivi, le duplicazioni, le lacune, le inconsistenze o l’obsolescenza delle misure che impediscono di realizzare in maniera efficace gli obiettivi delle politica fissata a livello europeo(13). E’ come se l’Europa avesse deciso di fare una cura dimagrante in un centro di benessere /fitness. Mai, finora, la cultura politica aveva usato tale vocabolario.

La cosa, però, non sorprende affatto se si pensa che negli ultimi anni la concezione promossa dalle autorità europee (ed americane Usa) é stata quella di ridurre l’intervento ed il peso dello Stato e delle istituzioni pubbliche in ossequio all’obiettivo del lean State (Stato snello, magro). Più lo Stato é magro, meglio é: meno scorie pubbliche, riduzione del personale, meno regole e vincoli che appesantiscono, maggiore flessibilità, più libertà per il privato. In fondo, parlare di fitness check della politica dell’acqua dell’Ue é come se l’Ue suggerisse che la sua politica debba acquistare un nuovo look per piacere ed attirare l’interesse degli stakeholders più potenti. La demolizione del fare comunitàa livello europeo é considerevole.

Siamo altresì di fronte ad una concezione oligarchica e tecnocratica dell’elaborazione e delle decisioni in materia di politica dell’acqua. Nella costruzione attuale proposta dal Blueprint, il ruolo dei cittadini é raramente menzionato(13). Si parla piuttosto di pubblico, e la partecipazione del pubblico é limitata all’informazione ed alla consultazione del pubblico. Al riguardo, in aggiunta al “consumatore”, il soggetto politico preferito dalle istituzioni europee é lo stakeholder (il portatore d’interesse). Gli stakeholders sono menzionati spesso e sistematicamente. Dei cittadini in quanto tali nemmeno l’ombra. Prevalgono il ruolo ed i diritti delle lobbies. Il bene comune pubblico più essenziale e insostituibile per la vita ed il vivere insieme come l’acqua (insieme all’aria, il sole, la conoscenza, la terra…) é ridotto a un bene di produzione e di consumo appropriabile ed usufruibile in funzione del potere d’acquisto e del loro valore e rendimento monetario.

 

L’abdicazione rispetto alla povertà

Ritroviamo le stesse logiche e gli stessi meccanismi per quanto riguarda la demolizione del principio della sacralità della vita, base del diritto umano alla vita degna di essere chiamata tale, e anche fondamento del principio del vivere insieme (comunità), di fare comunità nelle politiche e nelle pratiche relative alla povertà.

Lo Stato del Welfare, almeno nella sua concretizzazione realizzata nei paesi scandinavi fino a 15-20 anni fa, fu costrutio sul principio che nessun cittadino aveva il diritto di essere povero, cioé escluso dalla disponibilità ed accessibilità ai beni e servizi considerati essenziali e insostituibili per la vita del vivere insieme. Si é trattato di una visione e di una pratica colletiva del welfare e del diritto alla vita assai elevata ed impegnativa(14).

A un livello più modesto, la comunità internazionale si era data nel 1974 l’obiettivo di sradicare la povertà assoluta nel mondo al 2000 (povertà zero) dove per povertà si é intesa una concezione ridotta, limitata a una dimensione monetaria: fu definita povera assoluta la persona con meno di 2 dollari di reddito al giorno. La comunità internazionale (l’Onu + le istituzioni dette di Bretton Woods, la Banca Mondiale e il Fmi) affermarono che se i paesi ricchi dell’epoca avessero allocato lo 0,7% del loro Pil all’aiuto pubblico internazionale per lo sviluppo dei Paesi a forte popolazione in stato di povertà assoluta, questa avrebbe potuto essere sradicata nel corso di 25 anni.

Così fu detto, ma così non fu fatto. I Paesi ricchi, ad eccezione dei Paesi scandinavi, non rispettarono I loro impegni. Nel corso dei primi venti anni di aiuto la quota media dell’aiuto si stabilizzò attorno allo 0,27% del loro Pil. Inoltre, come é ben noto, a partire dal 1979, adottarono delle politiche economiche, tecnologiche e sociali sfavorevoli ai Paesi detti in via di sviluppo - destinatari/beneficiari dell’aiuto.

Queste politiche furono all’origine dei meccanismi di creazione di un indebitamento strutturale ingiusto ed illecito di detti Paesi nei confronti dei Paesi ricchi. Da Paesi poveri in via di sviluppo aiutati, essi diventarono dei Paesi ricchi in risorse ma strutturalmente indebitati, tanto che le loro risorse e la ricchezza in essi e da essi prodotta furono utilizzate sempre di più per coprire (insufficientemente!) i loro debiti. A tal fine, l’imposizione loro fatta dai Paesi del Nord, creditori, delle cosidette politiche di aggiustamento strutturale alle condizioni e modalità di sviluppo dei Paesi ricchi, non fece che accentuare i fattori e i meccanismi d’impoverimento di una forte percentuale della popolazione del Sud di pari passo con i meccanismi di una inuguagliazna crescente al loro interno, fra i vari gruppi sociali, rispetto alle condizioni di vita e ai diritti umani e sociali(15).

Agli inizi degli anni ’90, la povertà assoluta nel mondo, lungi dall’essere considerevolmente ridotta era aumentata. Le previsioni per il 2000 davano quasi 3 miliardi di esseri umani in povertà assoluta, di cui quasi la metà in stato di povertà estrema (la soglia essendo fissata negli anni ’80 a meno di 1 dollaro di reddito al giorno). Il che, detto per inciso, avvenne realmente: nel 2000 furono contati 2,8 miliardi di poveri assoluti e 1,3 miliardi di poveri estremi. Di fronte a siffatta evoluzione, e fallimento, cosa fecero le classi dirigenti dei paesi del Nord, con l’accordo passivo dei dirigenti dei Paesi del Sud?

Invece di correggere i loro errori e di assumere le loro responsabilità, spostarono sulle spalle dei Paesi del Sud, soprattutto i più sfruttati e i più impoveriti, le colpe del loro fallimento accusandoli di ingovernabilità, di non rispetto adeguato delle misure di aggiustamento strutturale, di non possedere sufficiente voglia di battersi per il loro sviluppo ed altri argomenti di questo genere. Affermarono, inoltre, che bisognava accettare l’evidenza che lo sradicamento della povertà assoluta era diventata realisticamente impossibile non solo nel lasso di tempo previsto ma in generale, alla luce dell’aumento della popolazione e dei nuovi problemi generati dal terrorismo internazionale, dai fanatismi religiosi (in particolare l’islamismo); dalle nuove massiccie ondate d’immigrazione Sud-Nord (dichiarate clandestine e illegali), dalle crisi ambientali, tutti problemi considerati dai dominanti la causa di emergenze in seno ai paesi del Nord di altre priorità richiedenti una diversione delle lros risorse finanziarie rispetto ai flussi destinati all’aiuto.

 

La duplice strategia della Banca mondiale

In queste condizioni, i poteri forti del Nord hanno adottato e imposto al mondo due nuove strategie: ai Paesi del Sud hanno detto “basta con l’aiuto, datevi da fare per diventare competitivi sul piano dei mercati internazionali e del commercio” (Not Aid but Trade), fu lo slogan ispiratore alla base della prima strategia(16); a se stessi si sono detti dissero “passiamo dalla strategia dello sradicamento della povertà assoluta alla strategia della riduzione della povertà” lasciando, inoltre, ai Paesi poveri “in via di sviluppo” il compito di fissare le loro priorità e i loro piani con rapporti (detti Papers) da sottomettere agli organi internazionali preposti al finanziamento dello sviluppo nel mondo (Bm, Fmi, mercati finanziari, e agenzie dell’Onu)(17).

Questa duplice strategia, elaborata e proposta in particolare dalla Banca Mondiale, la stessa istituzione dei poteri forti che impose nel 1992 il passaggio alla concezione dell’acqua come bene economico, fu approvata e ufficializzata al Vertice Mondiale delle Nazioni Unite sulla povertà e l’esclusione sociale del 1995. Il passaggio alla strategia della riduzione fu sacralizzata cinque anni dopo nel 2000 al vertice mondiale delle Nazioni Unite sul Terzo Millennio nel programma detto Millennium Developments Goals. Fra i 7 principali Mdg v’é l’obiettivo della riduzione di metà del numero di persone in stato di povertà estrema al 2015. Altrimenti detto, la comunità internazionale é passata dall’obiettivo fissato nel 1974 di sradicamento totale della povertà assoluta (meno di 2 dollari al giorno) a quello fissato nel 2000 della riduzione di metà al 2015 dei “poveri estremi” stimati nel 2000 a 1,3 miliardi di persone, accettando in tal modo che il numero di “poveri assoluti” nel 2015 superasse i 3 milliardi di persone!

Non occorre essere un esperto di numeri né di politica di lotta contro la povertà per rendersi conto dell’abisso creatosi in circa 35 anni in seno alla comunità mondiale rispetto al principio della sacralità della vita per tutti e dell’inuguaglianza di tutti gli abitanti della terra rispetto ai diritti umani e sociali.

Il fatto crudo, indiscutibile (ma inaccettabile evidentemente), é che le classi dirigenti della comunità internazionale hanno esplicitamente e formalmente abdicato alle loro responsabilità nei confronti della vita. Le loro dichiarazioni, i loro programmi, le loro promesse non sono stati altro che una massa di fumo per coprire la reale assenza di volontà da parte loro di lottare per l’eliminazione radicale dei processi che generano e alimentano i meccanismi d’impoverimento di miliardi di esseri umani(18).

Le loro politiche di lotta contro la povertà hanno interessato deliberatamente le modalità e le espressioni della povertà/impoverimento, ma non sono state rivolte all’obiettivo di eliminarne le casue ed i fattori strutturali. Questa seconda strategia di lotta per l’eliminazione radicale della povertà non é mai stata ricercata né voluta. In realtà, il diritto allla vita per tutti e la concretizzazione dell’uguaglianza di tutti nei confronti dei diritti umani non ha mai fatto parte, finora, delle priorità delle classi dirigenti, soprattuto al Nord del mondo(18).

Ciò illustra e spiega anche il fatto che il mondo non sia pervenuto finora a creare le condizioni affinché tutti gli abitanti della terra abbiano accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari e che gli Obiettivi del Millennio per lo Sviluppo (Mdg) a questo riguardo restino limitati, anch’essi, alla riduzione di metà nal 2015 del numero delle persone non aventi accesso all’acqua potabile, nonostante la ripetuta osservazione, da anni, da parte delle stessse agenzie delle Nazioni Unite, che non vi sono ostacoli insormontabili sul piano tecnologico, finanziario ed economico per la realizzazione del diritto all’acqua e alla salute per tutti. Se questo diritto non é ancora concretizzato, la principale causa é l’esistenza e permanenza dei fattori che generano ed alimentano i processi d’impoverimento, cioé i processi di arricchimento inuguale, ingiusto e predatorio.

Lo sradicamento effettivo della povertà (assoluta ed estrema) e ancor più della povertà/esclusione/rigetto degli impoveriti é destinato a non essere realizzato perché esso comporta anzitutto e soprattutto lo sradicamento dei fattori della riccheza inuguale e predatoria nel mondo. E questo é raramente pensato e voluto dai gruppi dominanti.

 

La ricostruzione del mondo

L’evidenza lo dice, lo grida: il sistema attuale ha demolito i legami tra le persone, i gruppi sociali, le comunità locali, i Paesi. I “grandi sistemi” anche tecnologici (ad eccezione, per il momento, di certe “reti sociali fondate sulle tecnologie d’informazione e di comunicazione) hanno spappolato ed atomizzato i sistemi locali, il senso di appartanenza e di solidarietà, la cultura della comunità, della politica, dello Stato. La predominante ossessione totalitaria per la crescita economica e la ricchezza individuale hanno distrutto il senso della ricchezza collettiva rappresentata dai beni comuni pubblici (l’acqua, la conoscenza, l’aria, la salute, la terra, la sicurezza comune…) e la coscienza dell’apppartenenza degli esseri umani ad un sistema di vita planetario globale di cui l’umanità dovrebbe essere il responsabile abitante. Il concetto di condivisioine e di corresponsabilità é stato soppiantato dal concetto di potere d’acquisto. Le regole della casa (eco-nomia) sono state sostituite dalle libertà autoregolate, cioé a dire dalle subordinazioni imposte ai più deboli dai proprietari-mercanti degli averi finanziari.

Per ricostruire il (un altro) mondo il punto di partenza é ripensarlo. Riincantare e riincantarsi rispetto a nuove visioni, a nuove prospettive. Ripensare, immaginare, sognare sono momenti preliminari e condizionanti della ricostruzione. L’utopia, collettiva, é una facoltà indispensabile per agire.

Per questo motivo, ripensare, immaginare e sognare una società che produce una ricchezza sociale, collettiva, giusta, pacifica, responsabile a partire dal pensare, immaginare e realizzare i beni ed i servizi comuni pubblici indispensabili e insostituibili per la vita del vivere insieme é l’atto fondativo della ricostruzione di un altro mondo.

 

Ricostituzionalizzare i beni comuni pubblici

Il sistema attuale ha de-costituzionalizzato i beni comuni pubblici. Privatizzandoli e mercificandoli ha tolto alla società, alla comunità, le fondamenta costituzionali (non solo costituenti). Aver mercificato e privatizzato, per esempio, il lavoro (la persona ridotta a risorsa umana) ha avuto come conseguenza che la Repubblica italiana non é più, come dettato invece dalla Costituzione, fondata sul lavoro, cosi come non é più fondata sui diritti alla vita, alla salute, all’acqua, alla conoscenza. Ciò vale per gli altri Paesi a costituzione scritta o di common law.

Ricostituzionalizzare i beni comuni pubblici é la via obbligata per inventare nei prossimi decenni, in un mondo che cambia, i nuovi legami che fanno comunità, fanno società, a tutti i livelli, non più secondo delle dinamicche verticali ed orizzontali gerarchicizzate, ma secondo delle logiche in mutazione (metamorfosi) permanente a spirale, a reti discontinue e non finite, ma con diritti e doveri (responsabilità/solidarietà) certi, e a resilienza condivisa.

Il punto focale é l’insieme di legami che fanno la comunità del vivere insieme. Occorre, quindi, ri-cominciare dal fare comunità. Per noi Europei é urgente, in particolare, di fare comunità europea.

In diversi interventi (anche su quotidiani italiani come il manifesto) ho analizzato in dettaglio cosa può significare ricostituzionalizzare il bene comune acqua e il diritto a non nascere per diventare e morire poveri. Quest’ultimo obiettivo mi pare determinante. E’ necessario dichiarare illegale le cause dell’impoverimento.

Nessuna società, nessuna comunità può esistere a lungo in quanto tale se alcuni dei suoi membri si trovano in condizione strutturale di nascere per diventare poveri e morire poveri. Non si nasce poveri ma lo si diventa. Non si nasce esclusi ma si é obbligati a diventarlo. Siccome l’impoverimento é causato dall’arricchimento inuguale, ingiusto e predatorio, uno dei percorsi prioritari da realizzare per (ri)fare comunità, fare società, é costituito dal disarmo dei poteri dei soggetti finanziari. Destrutturare l’attuale sistema finanziario ripubblicizzando, fra l’altro, la moneta é d’importanza capitale(19). Da anni difendo la proposta di ricostruire un sistema finanziario pubblico per il finanziamento degli investimenti pubblici in beni e servizi comuni pubblici come l’acqua. Riinventare una finanza pubblica, mondiale e locale, a partire dall’acqua é possibile e urgente.

In questo senso, il secondo percorso prioritario da realizzare consiste nel dare ai cittadini il potere che é loro, valorizzando e rivivificando i parlamenti rappresentativi - locali, regionali, nazionali, continentali come il Parlamento europeo - con l’adozione di metodi e pratiche di democrazia partecipata.

E’ superfluo dirlo, ri-fare comunità significa posizionarsi su una prospettiva di due-tre decenni di grandi battaglie politiche, economiche e sociali. Il che non significa che non si debba tentare, subito, di cominciare dall’essenziale e vincere su obiettivi parziali a corto termine, ma determinanti.

Fare comunità é essenziale perché non v’é democrazia né giustizia né libertà senza senso della comunità e dello Stato. L’Europa attuale produce e favorisce fattori e processi contrari. Si tratta di sconfiggere le forze che a livello europeo promuovono la mercificazione dei beni essenziali e insostituibili per la vita e il vivere insieme. E’ indispensabile togliere alle logiche del mercato e della finanza privata il governo dei beni comuni. A tal fine, non é accettabile che i movimenti europei per un’altra società, un’altra economia, un’altra Europa, un’altra finanza, un’altra democrazia, un’altra sostenibilità, un’altra città, un’altra educazione, un’altra etica, un’altra immigrazione, continuino ad essere divisi e sparsi e restino incapaci di organizzare insieme una campagna comune per la promozione di una Comunità europea dei beni comuni. Si tratterebbe di una Comunità dotata di poteri sovranazionali per quanto riguarda la terra, il lavoro, l’energia, l’acqua, l’aria, l’ambiente, la conoscenza, la sicurezza (nelle sue declinazioni essenziali: militare, energetica, alimentare, idrica, finanziaria…). Una Comunità non verticale, piramidale, tecnocratica, ma fondata sull’integrazione di 100 e più comunità regionali dei beni comuni dotate delle responsabilità, competenze e mezzi di base per fare comunità al loro livello, rappresentante un livello costruttivo di identità, di appartenenza e di solidarietà.

Tali comunità regionali, evidentemente, svolgeranno correttemente il ruolo loro affidato solo se saranno a loro volta fondate sulla promozione e il sostegno delle comunità locali. Non é mia opinione che sia necessario di far saltare le comunità nazionali anche se come dimostrano i casi belga, spagnolo ed italiano, il nazionale può diventare un ostacolo anchilosante maggiore a far comunità nel senso desiderato e vissuto dalle nuove generazioni.

Per fare la comunità europea dei beni comuni occorre liberare le società europee dalla loro sottomissione ai soggetti finanziari. Le soluzioni immediate, realizzabili, sono note: mettere fine all’indipendenza politica della Banca Centrale Europea, stabilire una regolazione monetaria e finanziaria a livello della comunità europea mediante la messa fuorilegge delle transazioni speculative sui mercati dei derivati, togliere la legittimità di valutazione dello stato di salute economica di un Paese, di un’impresa, di una banca, di una città, di una regione, alle cinque società principali private di notazione e stabilire un sistema di valutazione pubblico, trasparente. Ridare alle comunità il potere sulle istituzioni di credito (oggi esse sono tutte private) rappresenta una condizione necessaria ed indispensabile per un’altra economia, un’altra città…

La delega della responsabilità agli eletti é stato un salto storico maggiore nel funzionamento politico e socio-culturale delle nostre società. Oggi, però, esso rivela dei limiti strutturali: la conoscenza, la comunicazione, le informazioni, gli spazi pubblici possibili, i meccanismi identitari e decisionali collettivi, sono profondamente differenti da quelli in atto 40 o 50 anni fa. Il mondo capitalista ha fatto tesoro di questi mutamenti imponendo il primato del consumatore al posto di quello del cittadino. La partita non é chiusa per sempre. Le varie primavere, anche recenti, hanno dimostrato che il cittadino é un fuoco che non si spegne mai. La parola cittadino é possente. Se sono messi in condizione di farlo, i cittadini preferiscono la responsabilità alla servitù. La Comunità europea dei beni comuni sarà cittadina o non sarà.

* presidente dell’Istituto europeo per la Ricerca sulla politica dell’acqua

 

Note

 

(1) In inglese Iwrm (Integrated Water Resources Management). Possiamo parlare d’imposizione del modello perché l’adozione della Iwrm é stata utilizzata come una condizione vincolante per l’ottenimento dei prestiti da parte della Banca Mondiale nel settore dell’acqua;

(2) Se si guarda alla massa considerevole di rapporti annuali e ad hoc prodotti) a partire dagli anni ’90, dalle principali agenzie delle Nazioni Unite attive nel campo dell’acqua (Unesco, Fao, Oms, Un-Habitat, Pnue), per lo più di grande qualità scientifica, si constata che la tesi sulla centralità della rarità é onnipresente ed alla base delle scelte proposte dal sistema Onu. Vedasi in proposito Memorandum for a World Water Protocol redatto dallo Ierpe e dal World Political Forum, 2009, www.ierpe.eu;

(3) Dopo quello sulla qualità dell’acqua, la scarsità é diventata da 4-5 anni il leitmotiv della visione politica della Commissione europea in materia d’acqua. Cio é stato formalizzato nel 2007 con la Comunicazione della Commissione Europea del 18 luglio 2007: Far fronte ai problemi di rarità della risorsa idrica e di siccità nell’Unione europea. La Commissione ha pubblicato il 28 marzo 2011 un nuovo rapporto, dopo quelli del 2008 e del 2010 su La penuria d’acqua e la siccità nell’Unione europea;

(4) Uno dei principali temi della conferenza “Future of European Waters. How should policies be adapted”, organizzata a Budapest nei giorni 24 e 25 marzo 2011 dalla presidenza semestriale ungherese, é stato “Valuing Water. The new paradigm for a resource efficient Europe”. La responsabilità d’introdurre il tema é stata affidata a un dirigente di Ofwat (Office for Water, l’autorità per l’acqua della Gran Bretagna, il cui compito é di salvaguardare il carattere concorrenziale del mercato dei servizi idrici interamente privatizzati nel 1989);

(5) The 2030 Water Resources Group, Charting our Water Future, 2009. The 2030 Water Resources Group é composto dalle seguenti imprese: The Barilla Group, Coca-Cola, International Finance Corporation, McKinsey & Company, Nestlé, New Holland Agriculture, Sab Miller, Standard Chartered Bank, Syngenta;

(6) L’attuale crisi degli Stati (a causa, si pretende, della spesa pubblica e del loro indebitamento) nell’ambito della crisi economica, sociale e ambientale generale del capitalismo mondiale ne é una illustrazione eclatante. Purtroppo, gli avvertimenti circostanziati fatti nel corso degli ultimi 15 anni sono caduti nella totale indifferenza da parte dei dirigenti, oppure da essi rigettati come irrilevanti;

(7) Sulla «petrolizzazione» dell’acqua, vedi il mio Manifesto dell’Acqua, Ega, Torino, 2001, inizialmente pubblicato in francese nel 1997;

(8) James E. McWhinney, Water: The Ultimate Commodity, articolo pubblicato in Investopedia. Special Feature “Green Investing’, 3 novembre 2010. In questa breve nota, l’autore, uno dei consiglieri finanziari- più seguiti negli Stati Uniti, ricorda l’importanza crescente dell’acqua per i mercati finanziari e segnala i principali indici destinati a depistare e misurare le opportunità legate agli investimenti nel settore idrico (citiamo il Palisades Water Index, il Dow Jones U.S. Water Index, l’ISE-B&S Water Index, il S&P 1500 Water Utilities Index, il Bloomberg World Water Index ed il Msci World Water Index). Gli operatori finanziari dimostrano di avere sempre di più un interesse “morboso” per l’acqua. La ragione é piuttosto semplice “Like any other scarcity - sottolinea a giusto titolo Mc Whinney - the water shortage creates investment opportunities” In un’economia capitalista quel che dà valore é la scarsezza, la rarità!

(9) Cfr. Unparalleled Challenge and Opportunity in Water, di Lily Donge (Calvert Asset Management Company, Inc) e.Jens Peers and Craig Boynthron (Kleinwort Benson Investors International Ltd), in www.calvert.com sito di Calvert Investments, impresa di gestione di investimenti;

(10) Intervista di Marc Reneaume all’Apf, 26 marzo 2011;

(11) Cfr. Blueprint to safeguard Europe’ Waters, www.ec.europa.eu/environment/water/blueprint/indes;

(12) Cfr. Communication de la Commission, A resource-efficient Europe - Flagship initiative under the Europe 2020 Strategy, Com (2011) 21, Bruxelles, 26 janvier 2011;

(13) Cfr. Blueprint to safeguard Europe’ Waters, op.cit.;

(14) Ho trattato di questi aspetti in «Il bene commune. Elogio della solidarietà», Edizioni Diabasis, Reggio Emilia, 1997;

(15) Vedi il mio «Il diritto di sognare. Le scelte economiche e sociali per una società giusta», Sperling & Kupfer, Milano, 2005;

(16) Sappiamo ora cosa ha significato concretamente lo slogan «Trade non Aid» in un contesto di rapporti di forza commerciali inuguali marcati da una crescente asimmetria tra i paesi possedenti le risorse naturali e i paesi che ne sono diventati i reali proprietari grazie ai diritti di prorietà intelluttale privata sulle dette risorse. E pensare che ci sono ancora dirigenti influenti che pensano che il commercio sia il miglior modo per i paesi poveri di uscire dalla povertà!

(17) Questo passaggio/abdicazione é analizzato in Riccardo Petrella, “Una nuova narrazione del mondo”. Emi, Bologna 2007;

(18) Ibidem. Vedere anche «Francine Mestrum, Mondialisation et pauvreté», 2007, e «Global Poverty Reduction», www.globalsocialjustice.com, 2010;

(19) «Disarmare la finanza» fu il titolo della prima stesura di un rapporto redatto dal compianto Emilio Fontela, amico e economista spagnolo di grande reputazione, per conto del Gruppo di Lisbona nel 2005. Purtroppo il volume non giunse alla pubblicazione a causa di divergenze interne al gruppo che non avemmo tempo di smussare.