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Lo sciopero
generale sovranazionale proclamato dai sindacati di Grecia, Spagna
e Portogallo ci dice che, quando l’onda della protesta, della
collera popolare sale, qualche spazio per l’organizzazione del
conflitto si apre anche per le organizzazioni sindacali. In Italia
il sindacalismo confederale si è inabissato lasciando mano libera
alle politiche di Monti. Abbiamo parlato di diserzione suscitando
qualche protesta. Ma, solo per fare un esempio, se il presidente
dell’Inps dice che l’Istituto è in sicurezza più che in ogni altro
paese europeo (senza la legge Fornero) e che lo scorso anno il 35%
in meno è andato in pensione (senza la legge Fornero) come
possiamo chiamare il comportamento di un sindacato (e delle forze
politiche della sinistra parlamentare) che ha consentito il varo
della legge Fornero?
Anche la tardiva,
sempre utile s’intende, adesione della Cgil allo sciopero
greco-ispano-portoghese non cambia la sua collocazione di fondo di
fronte all’operazione strategica in atto in Italia di eliminazione
del contratto. Ben diverso lo sciopero della Fiom del 16 novembre
organizzato su una piattaforma che muove dalla difesa
dell’occupazione, delle condizioni di lavoro e dei diritti delle
lavoratrici e dei lavoratori e che si connette così ai referendum
sull’articolo 18 dello Statuto e contro l’articolo 8 della legge
che abbatte il contratto nazionale di lavoro. Molte cose, diverse
da quelle promosse dalla costruzione dell’Europa reale, si stanno
producendo nella società europea. Insufficienti, certo, persino
drammaticamente inadeguate, ma da conoscere, da indagare, da
praticare e, quando si fosse capaci, da provare a collegare, a
mettere in relazione tra di loro. Anche in Italia.
Nelle lotte recenti
c’erano popoli diversi, culture diverse, ma c’era anche in comune
una cosa di valore politico non trascurabile: la volontà di
rompere la tregua sociale. Più moderata, sindacale e però non
rassegnata quella della giornata di lotta sulla scuola del 28
settembre; carica di una straordinaria politicizzazione interna
alla propria condizione di studente e all’idea di autogoverno la
manifestazione romana degli studenti medi del 12 ottobre; capace
ancora di una mobilitazione di massa l’arcipelago delle forze
della sinistra critica del No Monti Day del 27 ottobre. E lassù
resta in piedi il popolo della No Tav, come nel paese le non poche
forme di occupazione di spazi di cultura e di spazio pubblico.
Quel che manca lo sappiamo. E ora dovremmo sapere, e non solo noi,
cosa non dovremmo fare.
Più difficile
rispondere a un più alto che fare. Ma la strada della costruzione
della coalizione sociale, della conquista all’azione sociale dello
spazio europeo, della costruzione di una grande, complessa,
articolata e però unitaria potenza democratica di critica e di
contestazione del nuovo modello economico-sociale europeo plasmato
dal capitalismo finanziario e governato oligarchicamente è la via
maestra su cui incamminarsi risolutamente, specie ora che la
competizione per il governo dentro il grande recinto dimostra
tutta la sua pochezza e da ultimo anche una buona dose di
avventurismo.
P. S.
In occasione
dello sciopero generale del 14 novembre (imponenti quelli della
Spagna e del Portogallo), in Italia i protagonisti della giornata
di lotta sono stati gli studenti medi. Visti a Roma in corteo
facevano impressione: un’onda lunga, grande, montante; tante teste
e corpi uno accanto all’altro, senza capi, senza partiti, senza
bandiere. Dal Colosseo una sola se ne vedeva, lontana, con i
colori dell’anarchia. Forse si affaccia sulla scena sociale un
nuovo soggetto. Potrebbe già essere più di una speranza.
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