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In questo numero della rivista
apriamo un dibattito su una proposta, avanzata da Luciano Gallino,
di un’azione diretta del pubblico per creare un milione di posti
di lavoro. E se diventasse un dibattito pubblico organizzato in
diverse realtà del paese, a partire da quelle di maggiore
disoccupazione? E se diventasse un tema di mobilitazione
territoriale come, e insieme, a quello dell’acqua-bene comune? Si
potrebbero disvelare così, insieme ai mali della recessione, le
chimere fuorvianti della crescita e aprire un fronte concreto sul
lavoro e sull’occupazione. Andrebbero ripresi per intero i temi
delle condizioni di lavoro.
Quello del ripensamento di fondo del rapporto tra il tempo di
lavoro e quello della vita alla luce di una disoccupazione di
massa, della precarietà diffusa e delle diverse culture che sono
emerse nelle nuove generazioni, è incredibile che non susciti più
interesse e riflessione. Ma, per esemplificare, tutto questo
ragionamento lo concentro qui sul salario. Che il salario sia
diventato insufficiente per vivere, che i salari italiani siano
diventati tra i più bassi d’Europa, che tutto ciò sia socialmente
intollerabile, è acclarato, tanto acclarato da risultare persino
insultante visto che alla constatazione non segue alcunché che
modifichi la situazione e, neppure, che qualcuno si proponga di
farlo. Al massimo si avanza qualche petizione sul fisco.
Penso che sarebbe il caso di aprire, invece, una grande questione
salariale, una questione rivendicativa, sociale ed economica.
Penso che, per farlo, bisognerebbe prospettare una piattaforma e
una mobilitazione generale su una rivendicazione generale e
generalizzata. L’uso del termine generalizzato non è casuale,
viene proprio dall’allargamento che forze sociali vive,
formalmente non coinvolgibili direttamente nello sciopero
generale, con le loro esperienze, hanno prodotto in quella
classica pratica sociale, mediante il loro diretto ingresso sulla
scena. Anche per il salario penso che andrebbe proposta una
campagna con questa latitudine: il salario come antica e nuova
rivendicazione del conflitto di classe. Un grande obiettivo di
redistribuzione, parallelo alla patrimoniale, di fronte alla
devastante divaricazione tra ricchi e poveri, tra lavoratori e
proprietari, un ‘vincolo interno’ da far crescere per una nuova
politica economica e per nuovi rapporti di potere tra le classi.
Un’idea del salario da affermare come una concezione nuova e
generalizzata della redistribuzione che va dal salario vero e
proprio per gli occupati alla conquista del salario sociale (basic
income) per i non occupati, al salario minimo per tutti i
precari e quale punto di forza per stanare il nero. La
rivendicazione di un aumento generalizzato dei salari e degli
stipendi sarebbe il perno di questa nuova alleanza. Se un
movimento prendesse corpo su queste basi, sarebbe già un primo
superamento nella prassi di una ormai logorata distinzione tra
sociale e politico. Potrebbe essere l’inizio di un nuovo ciclo del
conflitto di classe, certo non esauribile in una, seppur
gigantesca, vertenza. Una vertenza politico-sociale che, del
resto, impressiona solo a pensarla. Eppure, sarebbe certo ben
fondata sulla concreta realtà sociale del paese. Soltanto lavorare
alla sua impostazione sarebbe già un re-inizio. Se ne può
discutere?
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