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La crisi ha sollecitato la borghesia, piuttosto che a un
ripensamento sul fallimento del neo-liberismo, a un salto di
qualità, con il passaggio duro e forte da un processo a un
affondo. Il modello sociale europeo e la contrattazione sindacale
sono stati denunciati come incompatibili con il capitalismo
finanziario e, dunque, con la via d’uscita dalla crisi perseguita
ferocemente, quanto inefficacemente, in questo quadro, dalle
classi dirigenti europee. (…)
L’uno-due
Marchionne-Monti tira la riga tra un ciclo
politico-economico-sociale e un altro. Noi siamo finiti
nell’altro. Una replica in nome della continuità all’offensiva
dell’avversario non può più funzionare. La riga tirata parla,
infatti, anche di noi. E’ aperta la discussione se, dopo la
sconfitta del Novecento nel mondo, e dopo la sconfitta del
dopoguerra in Europa, quella che è stata la più potente e
promettente forza di cambiamento mai vista all’opera, il movimento
operaio organizzato, sia in crisi o se si debba addirittura
parlare della sua fine. Si tratta di una ricerca impegnativa e
drammatica che non può essere elusa, anche per le conseguenze che
una o l’altra interpretazione avrebbero nel nostro fare politica.
Ma, intanto, due
elementi forti possono già essere assunti. Il primo è che, come
per tutte le grandi storie della lotta degli oppressi contro
l’oppressione, la storia del movimento operaio è maestra di
futuro. Non si costruirà nessun futuro di liberazione senza la
trasmissione e l’elaborazione della sua storia e quella delle
donne e degli uomini che l’hanno vissuta. Il secondo è che,
comunque, fine o crisi che sia, siamo di fronte ad una drastica
discontinuità.
La riga insomma è
comunque già stata tirata; noi siamo già al di là di questa. Né
sul terreno della democrazia, né su quello della giustizia sociale
si potrà efficacemente combattere la sfida neo-borghese
concentrandosi sulla difesa delle conquiste del dopoguerra, perché
esse sono, in larga misura, ridotte a un simulacro. Questo non
vuol dire sottovalutare l’importanza di specifiche lotte
difensive, si pensi per tutte al valore strategico che illustra
oggi lo scontro sull’articolo 18 dello Statuto. Vuol dire che
queste difese sono necessarie in primo luogo per il loro peso
reale nella vita dei lavoratori e delle popolazioni, ma anche per
le contraddizioni che possono aprire nella soluzione
neo-autoritaria perseguita dalle classi dirigenti. (…)
Il governo Monti è
un governo costituente; appunto, anche su questo terreno, la riga
è tracciata. Non regge più il pur nobile heri dicebamus. A
un processo costituente autoritario, centralistico, verticistico,
tecnocratico, messo in atto per riaffermare il primato del mercato
e dell’impresa capitalistica sull’uomo e sulla natura, si deve
poter opporre un altro e opposto processo costituente, dal basso,
democratico, partecipato, diffuso, plurale, per affermare un
modello economico e sociale fondato sulla libertà della persona,
sull’eguaglianza e su una nuova alleanza tra l’uomo e la natura.
Da un lato, la costruzione del recinto; dall’altro, la sua
rottura, per cambiare il corso delle cose.
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