Fausto Bertinotti - La costruzione di un nuovo pensiero critico (breve sintesi)

alternative per il socialismo n. 21 - maggio-giugno 2012
 



La crisi ha sollecitato la borghesia, piuttosto che a un ripensamento sul fallimento del neo-liberismo, a un salto di qualità, con il passaggio duro e forte da un processo a un affondo. Il modello sociale europeo e la contrattazione sindacale sono stati denunciati come incompatibili con il capitalismo finanziario e, dunque, con la via d’uscita dalla crisi perseguita ferocemente, quanto inefficacemente, in questo quadro, dalle classi dirigenti europee. (…)

L’uno-due Marchionne-Monti tira la riga tra un ciclo politico-economico-sociale e un altro. Noi siamo finiti nell’altro. Una replica in nome della continuità all’offensiva dell’avversario non può più funzionare. La riga tirata parla, infatti, anche di noi. E’ aperta la discussione se, dopo la sconfitta del Novecento nel mondo, e dopo la sconfitta del dopoguerra in Europa, quella che è stata la più potente e promettente forza di cambiamento mai vista all’opera, il movimento operaio organizzato, sia in crisi o se si debba addirittura parlare della sua fine. Si tratta di una ricerca impegnativa e drammatica che non può essere elusa, anche per le conseguenze che una o l’altra interpretazione avrebbero nel nostro fare politica.

Ma, intanto, due elementi forti possono già essere assunti. Il primo è che, come per tutte le grandi storie della lotta degli oppressi contro l’oppressione, la storia del movimento operaio è maestra di futuro. Non si costruirà nessun futuro di liberazione senza la trasmissione e l’elaborazione della sua storia e quella delle donne e degli uomini che l’hanno vissuta. Il secondo è che, comunque, fine o crisi che sia, siamo di fronte ad una drastica discontinuità.

La riga insomma è comunque già stata tirata; noi siamo già al di là di questa. Né sul terreno della democrazia, né su quello della giustizia sociale si potrà efficacemente combattere la sfida neo-borghese concentrandosi sulla difesa delle conquiste del dopoguerra, perché esse sono, in larga misura, ridotte a un simulacro. Questo non vuol dire sottovalutare l’importanza di specifiche lotte difensive, si pensi per tutte al valore strategico che illustra oggi lo scontro sull’articolo 18 dello Statuto. Vuol dire che queste difese sono necessarie in primo luogo per il loro peso reale nella vita dei lavoratori e delle popolazioni, ma anche per le contraddizioni che possono aprire nella soluzione neo-autoritaria perseguita dalle classi dirigenti. (…)

Il governo Monti è un governo costituente; appunto, anche su questo terreno, la riga è tracciata. Non regge più il pur nobile heri dicebamus. A un processo costituente autoritario, centralistico, verticistico, tecnocratico, messo in atto per riaffermare il primato del mercato e dell’impresa capitalistica sull’uomo e sulla natura, si deve poter opporre un altro e opposto processo costituente, dal basso, democratico, partecipato, diffuso, plurale, per affermare un modello economico e sociale fondato sulla libertà della persona, sull’eguaglianza e su una nuova alleanza tra l’uomo e la natura. Da un lato, la costruzione del recinto; dall’altro, la sua rottura, per cambiare il corso delle cose.